Letizia Battaglia (Palermo, 5 marzo 1935 – Palermo, 13 aprile 2022) il 5 marzo avrebbe compiuto novant’anni.
Ha raccontato le terribili vicende della Sicilia con i suoi scatti in bianco e nero, portando alla luce la miseria e lo splendore di Palermo. Ha scavato nel profondo degli umori di una città piena di contraddizioni, mettendone in evidenza la vitalità e l’arroganza, le mille facce del potere, le tante povertà. Staffilate sono gli sguardi intensi dei bambini e delle donne dei quartieri poveri, che ha colto da cronista militante. Le sue foto hanno fatto il giro del mondo.
Quest’intervista è uscita sul Secolo XIX.
Perché Letizia Battaglia comincia a fotografare i morti ammazzati dalla mafia
Letizia Battaglia ha lavorato al quotidiano “L’Ora” di Palermo per 19 anni: «Un’esperienza così traumatica, così coinvolgente che faccio fatica a parlarne. Ero tornata da Milano nel 1973 e mi sono trovata in una situazione atroce, erano anni sanguinosi e la mia vita è stata travolta da eventi terribili». Morti ammazzati dalla mafia, anche cinque al giorno, e lei sempre sul luogo del delitto con la macchina fotografica a tracolla. Per denunciare, per documentare, per far sapere che così le cose non potevano andare avanti.
Una cronista sempre pronta a correre per le strade di quella città maledetta e bellissima. A Palermo era tornata con le sue tre figlie dopo il divorzio, quel lavoro le serviva per mandare avanti la famiglia.
Non ha peli sulla lingua, Letizia Battaglia se deve parlare delle cosche mafiose: «Provo verso di loro un disprezzo profondo. Niente può farmi accettare la mafia. È un’onta per noi siciliani e non solo per noi: infonde un senso di profonda umiliazione e prevaricazione a chi vuole vivere onestamente. È dentro la politica e ci governa. Siamo gestiti da un potere che non potrà mai portare alla felicità. I negozi dove compro il cibo, i locali che frequento sono governati dalla legge del pizzo. Anche se la gente ha paura ad ammetterlo. La mafia c’è, è presente e bisogna stare bene attenti».
La metamorfosi dei mafiosi
Lo si vede dai suoi scatti, lo si percepisce dal suo temperamento passionale, Letizia Battaglia, nonostante tutto, è innamorata della sua Palermo: «Una terra in mezzo al mare. Una terra che potrebbe essere bella e generosa, con una storia e una cultura antiche e importanti.
La Sicilia potrebbe essere un sogno se la lasciassero in pace, senza ponti sullo stretto, senza costruzioni abusive. Nell’ultimo secolo tutto ha lavorato contro la Sicilia: i mafiosi cento anni fa erano quattro contadini ignoranti ora sono migliaia di professionisti in doppio petto».
Non è diventata fotografa per scelta, anzi negli anni che viveva a Milano faceva la giornalista, collaborava a diverse testate. Ha iniziato per necessità, per guadagnarsi il pane, ma poi ha capito che poteva essere un potente strumento di denuncia sociale e politica: «Oggi che non c’è più “L’Ora” e non faccio più cronaca, continuo con la mia ricerca».
Usa le vecchie immagini dei mafiosi e delle stragi come fondale. Davanti fotografa una donna nuda o una bambina, così per distogliere l’attenzione dal ritratto del mafioso di turno: «È un gesto di rifiuto per quegli anni violenti, ho ancora nelle orecchie le urla delle madri dei morti ammazzati. Mi invento un altro mondo».
La sua felice esperienza politica durante la Primavera di Palermo
Un altro mondo aveva provato a costruirlo quando si era messa a fare politica con la giunta Orlando.
Aveva appena ricevuto a New York il Premio Eugene Smith, il maggiore riconoscimento per la fotografia sociale: «Ero emozionata, piansi molto, e decisi che volevo impegnarmi in prima persona. Mi candidai per i Verdi, non venni eletta, ma Orlando mi scelse per la sua giunta».
Le trema ancora la voce per la commozione: «È stato il più bel periodo della mia vita. Ho partecipato alla Primavera di Palermo come assessore alla vivibilità urbana». Si occupava del verde, delle scuole, delle carceri. Finalmente poteva dare qualcosa alla sua città: «Le foto mi erano servite per denunciare, ma ora come assessore avevo potere e soldi da gestire». Ricorda con gioia quando incontrava i bambini delle scuole elementari e poteva parlare loro di un futuro diverso.
Si era trasferita a Parigi, ma non ha resistito al richiamo di Palermo
La Primavera ha avuto il suo corso, poi è naufragata, e Letizia nel 2003 è scappata a Parigi, non riusciva più a sostenere il degrado della sua Palermo, le menzogne e l’indifferenza. Stava male, era caduta in una sorta di depressione, ma a Parigi non si sentiva a casa.
Alla fine del 2004 è tornata: «Questo fine settimana ci sono le primarie a Palermo. Può darsi che a giugno si possa tornare a sperare. Orlando potrebbe riacciuffare il suo sogno di una Sicilia pulita». Letizia fa un sogno ricorrente: porta in riva al mare i negativi delle sue foto e li brucia in un grande falò. Le sue immagini – quelle per cui tutti la conoscono e la apprezzano – le ricordano di continuo le cose che più odia al mondo: il sopruso e la violenza. Quegli atteggiamenti di prevaricazione sono terribilmente distanti dal suo modo di essere, dalla vita chiedeva tenerezza e invece si è trovata ad essere testimone d’eccezione di una carneficina.
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Ho fatto questa intervista a Letizia Battaglia nel 2007 a Genova, in occasione di una sua mostra, intitolata “Passione, Giustizia e Libertà”, al Museo Luzzati, allora a Porta Sibaria.
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Se ti interessa la fotografia: leggi l’intervista a Ugo Borsatti
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