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Laura Guglielmi

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La val di Magra, l’estremo lembo di Liguria che si confonde con la Toscana, fu presa di mira dagli scrittori latini e poi da Dante, Petrarca e Boccaccio, fino a arrivare ai poeti del Novecento come Vittorio Sereni, Franco Fortini, Giovanni Giudici, a scrittori come Piero Tobino e Maurizio Maggiani, che nei dintorni ha ambientato Il coraggio del Pettirosso, il romanzo che lo ha reso famoso.

Letizia Battaglia (Palermo, 5 marzo 1935 – Palermo, 13 aprile 2022) il 5 marzo avrebbe compiuto novant’anni.

Ha raccontato le terribili vicende della Sicilia con i suoi scatti in bianco e nero, portando alla luce la miseria e lo splendore di Palermo. Ha scavato nel profondo degli umori di una città piena di contraddizioni, mettendone in evidenza la vitalità e l’arroganza, le mille facce del potere, le tante povertà. Staffilate sono gli sguardi intensi dei bambini e delle donne dei quartieri poveri, che ha colto da cronista militante. Le sue foto hanno fatto il giro del mondo.

Quest’intervista è uscita sul Secolo XIX.

Luigi Luca Cavalli Sforza (Genova, 1922 – Belluno, 2018), uno dei più importanti genetisti del mondo, per un lungo periodo professore di genetica all’università di Stanford, negli ultimi anni della sua vita era diventato una star: le sue conferenze riempivano le sale. Ripubblico ora questa intervista del 2007 dove lo scienziato racconta come, a livello genetico, non ci sia grande differenza tra le diverse etnie umane. — Secondo Luigi Luca Cavalli Sforza, se i geni si trasmettono dai genitori ai figli, in un modo simile le idee si trasmettono da un essere umano a un altro. L’evoluzione biologica ha qualcosa in comune con L’evoluzione della cultura, così si intitola il suo saggio, pubblicato da Codice edizioni. Grande divulgatore, da sempre cerca di coniugare i meccanismi genetici con i dati storico-culturali. L’ho intervistato.

Quali sono i limiti che si pone come studioso?

Luigi Luca Cavalli Sforza. Credo che l’unico limite che mi sono sempre posto è non far male a nessuno. Se uno scienziato si accorge di essere nocivo all’umanità, deve smettere immediatamente. Non credo di essere mai andato oltre.

Qual è la ricerca che più le ha posto dei problemi etici?

Luigi Luca Cavalli Sforza. Quella sulle differenze genetiche tra i diversi gruppi umani. Sono stato ben attento, ho cercato di fare in modo che il mio lavoro non venisse frainteso. Per fortuna, in tutto quello che ho scoperto non ho trovato nulla che supportasse le teorie razziste. Non so come mi sarei comportato se, invece, avessi scoperto qualcosa che dava ragione ai razzisti

Come mai lei che è un genetista si occupa di cultura?

Luigi Luca Cavalli Sforza. La scienza ormai ha scoperto molte cose sulla trasmissione genetica rendendo possibile la comprensione della base chimica e fisica dell’eredità, il DNA. Ma l’uomo non è determinato solo dai geni: la cultura, l’apprendimento di quell’enorme massa di conoscenze che rende possibile la vita della società umana moderna, è ancor più importante dei geni.

Ma sono i geni che hanno permesso lo sviluppo della cultura nell’uomo e non negli altri animali. Così come la base del patrimonio biologico è il DNA, le “idee” sono la base del patrimonio culturale dell’umanità.

Anche la cultura si trasmette da un individuo all’altro. Quel che viene così trasmesso ha un’evoluzione simile al patrimonio genetico, che cambia lentamente nel tempo e nello spazio. Le idee possono essere trasmesse tra persone di qualunque età e senza rapporto di parentela e questo tipo di trasmissione culturale è molto più rapido e permette cambiamenti anche radicali.

A differenza dei geni, la cultura può quindi evolvere rapidamente, specie oggi grazie a internet, che trasmette informazioni quasi alla velocità della luce su base globale. Ma vi è una parte importante della cultura che evolve molto poco – e vi  sono tradizioni che vengono conservate quasi inalterate.

Che cosa pensa della variazione genetica e delle razze?

Luigi Luca Cavalli Sforza. Gli esseri umani possiedono un codice genetico che varia molto anche fra individui della stessa popolazione, mentre le differenze genetiche tra le popolazioni dei diversi continenti sono piccole. Abbiamo l’impressione che siano grandi per il colore della pelle, degli occhi o dei capelli, che sono di scarsa importanza genetica e dovute solo ad adattamenti a condizioni ambientali diverse, soprattutto il clima. Invece comportamenti, tradizioni e valori variano molto da una popolazione all’altra, perché le società tendono a istituire regole che sono seguite da tutti i suoi membri e che differiscono fra società diverse. Per essere accettati in una società straniera bisogna imparare nuove regole, e la tolleranza è scarsa. Queste differenze creano potenziali difficoltà di integrazione e vanno capite meglio, specie in un momento in cui vi è una forte affluenza di immigranti, come oggi in Italia.

Quando le è venuto in mente di mettere in relazione l’evoluzione culturale e quella biologica?

Luigi Luca Cavalli Sforza. Trent’anni fa quando ho scoperto che tra le tribù di pigmei africani e noi europei esistevano enormi differenze culturali dovute all’ambiente, ma non genetiche di rilievo. Mi sono chiesto come persone geneticamente così simili a me avessero in realtà tradizioni tanto diverse.

Da lì è nata anche l’idea che, per comprendere la complessità umana, fosse necessario far colloquiare le discipline. Dopo decenni di studi comparati di genetica, antropologia fisica, archeologia e linguistica, ho notato che scienziati e umanisti hanno approcci e interessi conoscitivi molto simili ma usano linguaggi differenti, rendendo difficile la comunicazione.

Imparando a capirsi è più facile trovare la chiavi per interpretare sia il passato sia il presente. Alcuni fattori evolutivi, come la selezione naturale, la mutazione, la deriva genetica e la migrazione – analizzati in diverse discipline – possono essere messi a confronto per fare luce sulla storia dell’umanità e per capire come avviene l’evoluzione.

Non bisogna aver paura dell’innovazione perché è necessaria per risolvere anche problemi sociali e finanziari.

Dove auspica approdino gli studi sul genoma?

Luigi Luca Cavalli Sforza. I prossimi trent’anni saranno fondamentali: le ricerche sul DNA avranno delle applicazioni importanti nel campo della medicina e aiuteranno a trovare cure più efficienti.

Mi auguro si trovi il modo per garantire la salute per tutti e che si investano più soldi nella ricerca medica, spendendone meno per fare la guerra.

Un’altra mia speranza è che si riescano a comprendere le singole inclinazioni delle persone e il lavoro per cui si è tagliati. Il genoma potrebbe quindi aiutarci a capire meglio noi stessi, portandoci ad un enorme progresso sul piano sociale.

Intervista uscita nel 2007, in occasione del Festival della Scienza di Genova

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Grinzane Cavour, 18 giugno 2006, Salman Rushdie è rilassato, ormai non ha più le guardie del corpo alle calcagna, sembra un altro da quando non gli pende più sulla testa la condanna a morte degli integralisti. Ora si sente più libero di dedicarsi alla letteratura. Il suo ultimo romanzo Shalimar il clown è un canto d’amore per il Kashmir, dal quale emerge una chiara denuncia nei confronti della politica americana ma anche dell’integralismo religioso. Di origine indiana, vive ormai da tanto tempo a Londra.

In una lunga intervista, Mauricio Rosencof, commediografo e amico del Pepe Mujica, presidente dell’Uruguay dal 2010 al 2015, racconta gli anni di lotta e di carcere, durante la dittatura. Ripubblico questa intervista di 10 anni fa perché ho molto a cuore la libertà di pensiero e d’azione. Ora il Frente Amplio che sosteneva Mujica ha appena rivinto le elezioni.

Quando sono partita per l’Uruguay a luglio del 2014, avrei voluto intervistare el Pepe, un uomo che si è fatto conoscere in tutto il mondo, per aver rinunciato al 90% del suo stipendio da capo dello stato e alla casa presidenziale. La sua frase che mi è rimasta scolpita nel cervello è: «Povero è chi desidera avere sempre di più».  Il presidente Mujica ha dato in beneficienza il 90% del suo stipendio e ha deciso di vivere in un quartiere povero di periferia, piuttosto che nel suntuoso palazzo presidenziale.

Invece, il regista teatrale Mario Jorio mi ha dirottato sul commediografo Mauricio Rosencof, compagno di prigionia del Pepe Mujica durante la dittatura degli anni Settanta, e che su quella terribile esperienza ha scritto un libro La Memorias del Calabozo.

Ottima idea, ho pensato, il Pepe lo hanno intervistato tutte le testate giornalistiche del mondo, Rosencof invece molte meno.

Pepe Mujica
Pepe Mujica, spesso sorridente, nel film Una vita suprema

Le cose non nascono dal nulla, l’artista argentino Tomas Saraceno oggi è un’artista internazionale, ma ha iniziato ad aver successo a Genova. In occasione della sua nuova mostra, intitolata Anima-le, presso la Galleria Pinksummer di Palazzo Ducale, che chiuderà i battenti a fine febbraio 2025, ripubblico quattro articoli che ho scritto su di lui sul Secolo XIX.

La mostra Anima-le presenta una forma particolare e del tutto nuova di Cloud Cities, progettate per essere accoglienti anche per i visitatori non-umani: ragni, insetti, uccelli, cani. L’universo non ha frontiere e  appartiene anche ai non-umani di tutte le specie a cui siamo accomunati dallo stesso destino, soprattutto di fronte alla consapevolezza della minaccia ecologica. L’antispecismo, per fortuna, sta prendendo sempre più piede.

On Air, Tomas Saraceno, galleria Pinksummer, ottobre 2004

Nei momenti difficili gli esseri umani guardano al cielo e sognano di colonizzarlo. Come se la terra non bastasse più, come se lassù – in uno spazio neutro – si potessero risolvere tutti i problemi.

È intorno a quest’idea utopica che ruota il lavoro di Tomas Saraceno, 31enne, argentino di Buenos Aires, architetto artista, allievo di Peter Cook, uno dei fondatori di Archigram: «Quando una società attraversa una fase traumatica, la gente cerca rifugio nel cielo per sfuggire al caos e all’incertezza», spiega l’artista.

Una sua installazione, intitolata On Air  è visibile alla galleria Pinksummer (via Lomellini 2/3) di Genova fino a fine dicembre, un progetto curato da Luca Cerizza. Si tratta di una tensostruttura in pvc, una membrana trasparente spessa sei millimetri e alta sei metri che chiude ermeticamente una stanza alta 8 metri.

Il mondo visto da lassù e laggiù

Quando è in funzione, la gente entrando fa scendere la pressione e il soffitto si abbassa, mentre un ventilatore pompa dentro aria, facendolo rialzare. È come se respirasse. Una scala permette al visitatore di salire sul tetto di quest’immenso cuscino gonfiabile.

Da sotto si vede la gente che gattona, striscia, qualcuno riesce a camminare in piedi, «una bella esperienza a metà tra il volo e il nuoto, è come se si fosse sospesi», racconta chi si è arrampicato fin lassù. Per salirci, però, bisogna firmare una liberatoria.

Tomas Saraceno sta lavorando al progetto Air Port City. Vorrebbe costruire delle cellule abitative che galleggiano in aria, cambiano forma e si aggregano tra loro come le nuvole, città volanti che porterebbero al superamento dei confini politici, sociali, culturali, militari come li si concepisce oggi.

«Muovere da un “credo” personale a uno collettivo è il primo passo per la realizzazione di questa mia idea di città, che propone una mobilità continua», spiega Tomas Saraceno.

Partendo da questi presupposti teorici, ha brevettato, insieme ad un equipe, l’Areogel, un nuovo materiale che potrebbe essere utilizzato per veicoli più leggeri dell’aria. «Potranno volare grazie all’energia solare. Sono un’alternativa per la nostra mobilità nel futuro e per colonizzare il cielo».

Follia d’artista? «No, non era forse utopico cento anni fa pensare che la gente potesse viaggiare in aereo? Ebbene ora più di 500 milioni di persone si muovono in aereo ogni anno», conclude Tomas Saraceno.

Oggi ridete, ma domani vedrete

E come si mette in relazione l’installazione alla galleria Pinksummer con questo progetto? «Quando una nazione non permette scambi culturali, i suoi cittadini soffocano. E il soffocamento è il modo più veloce per morire», spiega la gallerista Antonella Berruti.

«Quando si è chiusi dentro l’installazione di Tomas si rischierebbe di soffocare se qualcuno non aprisse l’entrata. Così avviene lo scambio tra chi è dentro e chi sta per entrare. Poi chi sale contribuisce all’interazione con il meccanismo e con gli altri. Salire là sopra è un atto di fiducia nei confronti dell’artista perché devi stare sospeso a sei metri e mezzo dal pavimento».

Osservando la gente da sotto, che avanza lentamente sul pvc, sembra di vedere un affresco in continuo movimento. All’interno della struttura tre gruppi di corde bianche poste in cerchio permettono di visualizzarne il movimento, si allungano quando il soffitto si alza.

«Mi sono innamorata del progetto, è un’idea utopica e spettacolare, pulita e minimale. È un lavoro che riflette sullo spazio – continua Berruti – su una concezione diversa dell’abitare. Mi interessano molto gli artisti che lavorano sull’idea di utopia realizzabile. Oggi ridete, ma domani vedrete ».

Cloudy Dunes, Tomas Saraceno, Fondazione Garrone, aprile 2008

Tomas  Saraceno torna a Genova: l’anno scorso, in occasione di una mostra alla galleria Pinksummer, aveva costruito una grande ragnatela a quattro metri dal suolo – la Biosfera ww32  (di cui non trovo più l’articolo che avevo pubblicato n.d.r.) – e l’aveva ancorata alle colonne di Palazzo Ducale (vedi foto d’apertura).

Un’opera visionaria. Giovedì 17 alle 18 inaugurerà una nuova installazione, Cloudy Dunes, in mostra alla Fondazione Garrone, in Via San Luca. Evento nell’evento, giovedì mattina alcuni studenti dell’Accademia Ligustica di Belle Arti aiuteranno Tomas Saraceno ad allestire l’opera.

L’artista architetto argentino dà vita a strutture complesse per mostrare altri percorsi possibili allo sviluppo tecnologico delle nostre città e forme di convivenza diverse tra le persone e l’ambiente.

In quest’occasione ha usato 1000 metri di tubi per cavi elettrici creando dei cerchi aggrovigliati su se stessi, una costruzione complessa, un’ipotesi astratta di città, dove si può entrare e muoversi all’interno.

Un contrasto voluto con gli affreschi della sala cinquecentesca di palazzo Ambrogio Di Negro in Banchi, storico palazzo dei Rolli. Cinque videoproiettori rimandano le immagini rigorosamente in bianco e nero delle dune di sabbia bianca e dei bacini di acqua piovana del paesaggio desertico del Lencois Maranhenses Park nel nord del Brasile.

Unica soluzione, l’energia alternativa

Tomas Saraceno stesso ha fatto le riprese, dimostrando come, anche in una zona così remota, si possono usare fonti di energia alternative: infatti le cineprese, grazie a pannelli flessibili, funzionavano con l’energia solare. Un ossessione dell’artista che così vuole indicare delle strade diverse ed eco-compatibili.

Pazienza se le telecamere smettevano di funzionare al passaggio delle nuvole, in fondo perché avere sempre fretta, perché correre di continuo?

La luce delle video-proiezioni si infiltra nella struttura formata dai cavi che sembra muoversi, tremare, spostarsi un poco più in là.

Ma non è finita. Un altro video, in questo caso a colori, mostra il backstage cioè Tomas e i suoi assistenti mentre fanno le riprese nel deserto brasiliano, insomma l’opera nel suo costituirsi.

Tomas Saraceno si richiama a Buckminster Fuller, l’architetto outsider americano che, come Frank Lloyd Wright, non prendeva in considerazione solo gli edifici ma anche l’arredamento e lo spazio circostante, l’ambiente e la sua stretta relazione con le persone che lo abitano. Le sue unità abitative erano autosufficienti.

Tomas Saraceno ha 34 anni, ha già esposto i suoi lavori in musei di tutto il mondo, tra cui il Barbican Art Center di Londra, e partecipato a diverse Biennali, come quelle di San Paolo e di Venezia. È appena arrivato a Genova da New York, dove ha inaugurato una personale in una delle gallerie più in vista della metropoli americana.

From Camogli to San Felipe, spiders weaving stars…,  Tomas Saraceno, marzo 2010

Le cose così non vanno, ormai lo sappiamo tutti. La nostra qualità della vita peggiora di anno in anno, l’aria è sempre meno respirabile, la Terra sempre più popolata da edifici, inquinata e corrosa.

Tomas Saraceno, astista argentino, conosciuto a Genova per le sue fantasiose installazione presso la galleria Pinksummer di Palazzo Ducale e la Fondazione Garrone di via San Luca, parte da queste constatazioni per creare un mondo tutto suo.

Dopo il successo all’ultima Biennale di Venezia, inaugura una nuova mostra presso La Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti di Camogli, intitolata From Camogli to San Felipe, spiders weaving stars….

L’artista del ragni

Gli spiders, cioè i ragni sono al centro della sua riflessione. Li sta studiando e osservando da molti anni. È particolarmente affascinato dalla loro capacità di attraversare enormi distanze, usando i filamenti della loro stessa bava. Inoltre, alcuni scienziati inglesi hanno scoperto che la turbolenza dell’aria può spingere le aracnidi anche per centinaia di chilometri in mare aperto.

Curioso è anche il modo con cui si muovono, soprattutto in autunno e primavera, alla ricerca di un nuovo habitat o del partner per procreare, lanciando filamenti che li paracadutano in un nuovo territorio, un movimento che scientificamente è stato chiamato “ballooning”.  Seguendo l’esempio dei ragni, Tomas Saraceno, l’anno scorso, in Argentina,  ha fatto volare alcuni oggetti, riempiti di elio.

Alla Fondazione Remotti, l’artista propone alcune installazioni che rappresentano una sintesi delle sue ricerche.

Quattro biosphere occupano i due piani dell’edificio – una chiesa sconsacrata – mentre i cavi d’acciaio (filamenti) che le sostengono appaiono, nelle intenzioni dell’artista, come forze motrici che potrebbero far decollare l’edificio.

«Una biosphera è a pian terreno – spiega la curatrice Francesca Pasini  – e le altre tre sono collocate più in alto, come a voler dare l’idea del volo. Contengono acqua e piante grasse che possono sopravvivere sospese.  L’installazione, con i tanti raggi che la attraversano,  suggerisce l’idea del movimento. La gente può camminare in mezzo ai cavetti di corda nera a cui le biosphere sono ancorate».

Vita da ragni

Al primo piano della Fondazione alcune fotografie che documentano la possibilità futuribile di abitare l’atmosfera, di vivere l’utopia dell’assenza di gravità, un po’ come i ragni, appunto.

A pian terreno tre video, intitolati Space Elevator, ribadiscono il concetto. L’estate scorsa l’artista, per approfondire le sue conoscenze, ha trascorso un periodo alla NASA, nella Silicon Valley.

È particolarmente suggestiva un’installazione – un parallelepipedo con un foro – che contiene un ragno e alcuni resti di insetti. Con questo lavoro l’artista vuole ricordare come la natura ormai stremata abbia bisogno di protezione.

«Il lavoro di Tomas Saraceno è particolarmente interessante per il dialogo che l’artista instaura con la ricerca scientifica contemporanea, per creare opere poetiche e visionarie – conclude Pasini  – allo stesso tempo costruisce uno spazio originale, indipendente e inedito, dando vita ad immagini autonome».

Cloud City, Tomas Saraceno, galleria Pinksummer, ottobre 2010

«Fra breve le mie città volanti saranno realtà. Le vedrò realizzate nel corso della mia vita, ne sono sicuro. Si potrà abitare lassù e muoversi liberamente nel cielo», l’artista argentino Tomas Saraceno crede in quello che dice.

Nella sua personale, Cloud City, inaugurata ieri alla galleria Pinksummer di Palazzo Ducale, in mostra un modello delle sue nuvole abitabili: una sfera in plexiglas sospesa nello spazio, tenuta insieme da cavi, che formano delle ragnatele.

Vicino un’altra installazione, uno space elevator, una specie di albero che, secondo l’artista, può essere l’idea portante di una struttura che in futuro ci potrà trasportare in luoghi lontani.

Le città volanti

La mostra continua anche fuori dalla galleria, nel cortile maggiore di Palazzo Ducale con una struttura lignea, un’enorme architettura formata da quattro dodecaedri vuoti.

«Tutte installazioni che fanno riferimento al mio progetto di costruire le città volanti – spiega Tomas Saraceno – Per quando riguarda la tecnologia, sto facendo diversi esperimenti, aiutato dalle teorie di fisici e scienziati di tutto il mondo».

Il desiderio dell’artista è abitare uno spazio in movimento: «Mi piace l’idea di spostarmi alla deriva, senza un obiettivo, lasciandomi trasportare dal vento, così da  arrivare in luoghi sconosciuti».

Vorrebbe che il suo studio e la sua abitazione fossero su una città volante, così potrebbe muoversi da una parte all’altra del pianeta, senza prendere l’aereo e continuando a lavorare, incontrare amici, mangiare e dormire: «Farei tutto quello che faccio adesso, ma mi sentirei con la coscienza a posto, perché le cloud city, come le sto progettando, non sono inquinanti, senz’altro molto meno dell’aereo».

Bisogna smettere di inquinare

«Il mio scopo – continua Tomas Saraceno – è anche far capire agli architetti che le città come sono state progettate fino ad oggi, non vanno bene, bisogna cambiare il nostro stile di vita, inquinando il meno possibile».

Antonella Berruti e Francesca Pennone della galleria Pinksummer sono state tra le prime a dare spazio e credibilità all’opera di Tomas Saraceno, un artista che sta ottenendo riconoscimenti in tutto il mondo.

«Abbiamo conosciuto Tomas nel 2004. Senza tanti convenevoli, ci ha invitato a infilare la mano in una borsa. All’interno c’era una sostanza soffice che non ha lasciato nessuna traccia sulla pelle. Tomas Saraceno ci ha chiesto di mettere la mano sotto l’acqua. E la mano si è riempita di perle trasparenti. Quella materia tanto sottile e leggera da incapsulare l’acqua era aerogel, e ci ha detto che quella era la sostanza con cui avrebbe costruito Airport-City».

Da quel giorno è nato un sodalizio, che negli anni ha già portato Tomas Saraceno a essere protagonista di diverse mostre in Liguria.

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treno Svizzera

La Svizzera di Heidi non esiste più: da anni volevo andare sulla Top of Europe, con il trenino che si inerpica fin quasi sulla vetta dello Jungfrau. Spesso mi vedevo lassù in meditazione davanti al ghiacciaio dell’Aletsch, patrimonio dell’Unesco: lungo la bellezza di 22 km. Finalmente sono riuscita ad andarci, ma una bella sorpresa mi attendeva. Nella vita devi essere pronta alle novità. E così è stato.

Manca ormai qualche mese alla riapertura dello storico Sentiero degli Alpini nel gruppo montuoso Toraggio-Pietravecchia situato nel comune di Pigna (IM), nel Parco Naturale Regionale delle Alpi Liguri.

Giuseppe Verdi (1813-1901), a cui non piaceva la luce dei riflettori, al culmine del suo successo aveva trovato a Genova un luogo ideale dove la gente vive e lascia vivere. Non era una persona mondana e non gradiva granché firmare gli autografi, ma come ogni buon borghese genovese, comprava i canditi da Romanengo e i fiaschi di vino da Giavotto.

Per sua fortuna era ed è ancora abbastanza difficile infatti, ancora oggi, che gli abitanti del capoluogo ligure chiedano un autografo a un personaggio famoso. «Siamo tutti uguali», così la pensano. È come se avessero uno spiritello democratico incorporato, un loro grande pregio. Se si chiede l’autografo a una persona famosa, ci si può sentir rispondere: «Se è proprio necessario».