Forte era il legame tra Italo Calvino e Sanremo. Era uno scrittore ligure, dunque? Questa definizione non ha senso se si pensa ai milioni di lettori sparsi in tutto il mondo che si sono imbattuti nei suoi testi, alcuni dei quali senza nemmeno riflettere sul fatto che fosse italiano.

Uno scrittore che ha saputo toccare tasti profondi, descrivere le ossessioni contemporanee, diventare paradigmatico per tanti scrittori di diversi Paesi.

Italo Calvino e Sanremo

Eppure lui si sentiva profondamente ligure, ponentino anzi, anche se scelse di vivere altrove, di non ritornare più nella sua Sanremo, una città in cui non si riconosceva più per quel “modo turistico di vivere la vita” dei suoi abitanti.

Un modo di vivere di cui ancora oggi si soffrono le conseguenze, con le ferite profonde lasciate nel paesaggio dagli anni Cinquanta in poi, come racconto nel mio ultimo libro, “Italo Calvino e Sanremo, alla ricerca di una città scomparsa“, (il canneto editore). Una città che nell’Ottocento attraeva viaggiatori inglesi, attratti dalla folta vegetazione mediterranea, londinesi che scelsero di costruire sulle sue colline ville circondate da giardini rigogliosi.

Come mai non si è riusciti a conservare l’identità di un territorio tra i più belli di tutta la Liguria? Questo fu uno dei tarli che rodeva Italo Calvino nel profondo, non poteva essere diversamente avendo – tra l’altro – un padre agronomo, Mario, e una madre botanica, Eva Mameli.

Il Barone rampante è sanremese

Sono molti i brani dello scrittore che in cui lo scrittore ribadisce questo legame, riflessioni che mi sono servite per lavorare a tutti i miei progetti su Italo Calvino e Sanremo, tra cui anche una mostra sul paesaggio “scomparso” che ho portato in giro per il mondo.

All’università ero rimasta profondamente stupita, facendo una ricerca su Calvino, quando avevo intuito che il paesaggio, la vegetazione, gli alberi sui cui aveva deciso di trascorrere la sua vita il Barone rampante, altri non erano che il paesaggio, la vegetazione, gli alberi della stessa città dove ero nata e cresciuta, Sanremo. Successe mentre stavo preparando l’esame di Storia della Letteratura Moderna e Contemporanea, con Giuliano Manacorda.

Un romanzo che lessi a dieci anni e che mi accompagnò per tutta l’adolescenza, con quell’immagine di Cosimo che sceglie di andare via dalla sua casa per cercare un percorso tutto suo nel labirinto del mondo, una via senza ritorno. Questa era l’emozione che Italo Calvino aveva regalato ad una bambina di dieci anni che viveva a Sanremo.

Un’emozione universale, senza limitazioni di spazio e di tempo forse per questo non feci caso al fatto che l’autore fosse di Sanremo, che in quel momento particolare della vita era di per sé il mio universo.

Le fotografie di una Sanremo scomparsa

Dopo la morte di mio padre Gino – una persona che a Sanremo ricordano ancora per come abbia cercato di salvaguardare angoli della città destinati a scomparire – rovistando in un baule trovai delle fotografie antiche di Sanremo ed ebbi un’intuizione. Perché non ricostruire, attraverso i testi di Calvino e quelle fotografie, il paesaggio scomparso che non avevo mai visto? Così nacque l’idea della mostra intitolata Dal fondo dell’opaco io scrivo, che ho portato in diversi Paesi del mondo, tra cui New York.

Lavorando sui testi calviniani diventai sempre più cosciente di quanto lo scrittore fosse profondamente legato a quel paesaggio che “avrebbe potuto essere” anche mio, ma non è stato.

Ciò che è stato e non sarà mai più

Ecco come Calvino, ad esempio, spiega ciò che lo ha spinto a scrivere Il barone rampante – lo scrittore parlando di se stesso si nasconde sotto lo pseudonimo di Tonio Cavilla:

Il romanzo si svolge in un paese immaginario, Ombrosa, ma ci rendiamo presto conto che quest’Ombrosa si trova in un punto imprecisato della Riviera Ligure. Dai dati biografici dell’Autore sappiamo che egli è di Sanremo, che nella cittadina ligure ha passato infanzia e giovinezza (…).

Il suo legame col paese risulta nutrito di memorie più antiche (una vecchia famiglia locale di piccoli proprietari di terra) di consuetudine con la natura (ritorna in molti racconti il personaggio del vecchio padre, gran cacciatore, appassionato coltivatore, tornato alle proprie campagne dopo aver girato il mondo nella sua professione di agronomo) (…).

Ma tutto questo paesaggio geografico e ideale appartiene al passato: sappiamo che la Riviera in questo dopoguerra è diventata irriconoscibile per il modo caotico in cui si è riempita di caseggiati urbani (…). Ed è solo da tutti questi elementi sommati assieme che possiamo ricavare la radice lirica del libro (…).

Partendo da un mondo che non esiste più, l’autore regredisce a un mondo mai esistito ma che contenga i nuclei di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere, le allegorie del passato e del presente, le interrogazioni sulla propria esperienza.

Un mondo scomparso anche nelle atmosfere

L’estate in cui cominciavo a prender gusto alla giovinezza, alla società, alle ragazze, ai libri, era il 1938: finì con Chamberlain, Hitler e Mussolini a Monaco. La ‘belle epoque’ della Riviera era finita (…). Con la guerra, Sanremo cessò d’essere quel punto d’incontro cosmopolita che era da un secolo (lo cessò per sempre; nel dopoguerra diventò un pezzo di periferia milan-torinese).

E ancora, un’altra dichiarazione illuminante del rapporto tra la sua scrittura e la città ligure, rilasciata negli anni Ottanta a Maria Corti:

Come ambiente naturale quello che non si può respingere o nascondere è il paesaggio natale e familiare; Sanremo continua a saltar fuori nei miei libri, nei più vari scorci e prospettive, soprattutto vista dall’alto, ed è soprattutto presente in molte città invisibili. Naturalmente parlo di Sanremo qual era fino a trenta o trentacinque anni fa, e soprattutto com’era cinquanta o sessant’anni fa, quando ero bombino. Ogni indagine non può che partire da quel nucleo da cui si sviluppano l’immaginazione, la psicologia, il linguaggio; questa persistenza è in me forte quanto era stata forte in gioventù la spinta centripeta la quale si rivelò senza ritorno, perché rapidamente i luoghi hanno cessato di esistere.

Quei luoghi, in realtà, non hanno cessato di esistere, sono ancora vivi e presenti nei testi calviniani. La scrittura sa come restituire ciò che gli esseri umani hanno distrutto. Calvino è cosciente di tutto questo e lo esprime nella Strada di San Giovanni, un vero testamento emotivo scritto nel 1962, ma pubblicato postumo da Mondadori.

Di fronte alla natura restavo indifferente, riservato, a tratti ostile. E non sapevo che stavo cercando anch’io un rapporto, forse più fortunato di quello di mio padre, un rapporto che sarebbe stato la let¬teratura a darmi, restituendo significato a tutto, e d’un tratto ogni cosa sarebbe divenuta vera e tangibile e possedibile e perfetta, ogni cosa di quel mondo ormai perduto…

Nella Strada di San Giovanni, Calvino nomina i luoghi, li elenca, cerca di riportarli alla memoria, ma non cita mai Sanremo, quasi a rendere universali le sue emozioni. È a partire da questo racconto che ho costruito il percorso della mostra. Questo l’incipit:

Una spiegazione generale del mondo e della storia deve innanzi tutto tener conto di com’era situata casa nostra, nella regione un tempo detta ‘punta di Francia’ a mezzo costa sotto la collina di San Pietro, come a frontiera fra due continenti. In giù appena fuori del nostro cancello e della via privata cominciava la città coi marciapiedi le vetrine, cartelloni dei cinema, le edicole e piazza Colombo lì a un passo, e la marina; in su, bastava uscire dalla porta di cucina nel ‘beudo’ che passava dietro casa a monte (…) e subito si era in campagna, su per le mulattiere acciottolate, tra muri a secco e pali di vigne e il verde.

Tanti sono, nella Strada di San Giovanni, i luoghi riconoscibili: 

Il porto non si vedeva, nascosto dall’orlo dei tetti delle case alte di piazza Sardi e piazza Bresca, e ne affiorava solo la striscia del molo e le teste delle alberature dei battelli (…). Là il campanile di San Siro la cupola a piramide del teatro comunale Principe Amedeo (…) la riva va di Porta Candelieri (…) s’aggrappava la vecchia casbah della Pigna, grigia e porosa come un osso dissotterrato (…) al Santuario settecentesco della Madonna della Costa.

Un elenco preciso, dettagliato di ciò che Italo Calvino, intorno ai quarant’anni, trova nel deposito della sua memoria. Il paesaggio attraverso lo sguardo dello scrittore si è sedimentato ed è diventato narrazione. E lì, sulla pagina, vivo e presente e ogni volta il lettore ha il piacere di rievocarlo.


Nella Foto: Italo Calvino sulla sinistra con il fratello Floriano. Ringrazio Claudia ed Ettore di villa Terralba, che mi hanno permesso di riprodurre la foto.

Il testo è stato pubblicato la prima volta, in “Viaggio in Liguria”, trimestrale della Fondazione Regionale Cristoforo Colombo, numero 2 del 2004. L’ho un po’ aggiornato.

Nella categoria Italo Calvino ho pubblicato 11 interventi Italo Calvino e Sanremo e la sua famiglia.

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